SYRIA
"In the hell of Aleppo"
© Paolo Siccardi

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I profughi in fuga diventano ostaggi tra i confini.
Appena varcato il confine con la Turchia migliaia di profughi vivono accampati in quel lembo di terra di Bab al Salama in mezzo al fango per le piogge, al gelido freddo o al terribile caldo dell’estate, in attesa di un visto per poter passare quella sbiadita sbarra che divide la frontiera siriana da quella turca. I profughi, quelli più fortunati, sono accampati all’interno dei campi per rifugiati gestiti dal governo turco dove un muro alto due metri con filo spinato circonda le tende dell’Alto Commissariato per i rifugiati (UNHCR) e dove l’ingresso non è permesso neanche alla stampa internazionale. Sono decine di migliaia i profughi scappati dalla guerra in Siria e vengono accolti in campi per rifugiati tra i confini della Giordania, Turchia e Libano per poi in un secondo tempo intraprendere la strada dell'esodo per entrare in Europa e ricongiungersi con i propri parenti.
Aleppo, città martire e nodo strategico di vitale importanza per l’economia del paese e a poche decine di chilometri dalla frontiera con la Turchia. Nella città si combatte una guerra di in casa in casa e le bombe dei mortai dell’esercito “lealista” cadono a cadenza continua scandendo il tempo tra il giorno e la notte, colpendo soprattutto i luoghi più affollati, dove la gente si riversa tra bazar e mercati per gli acquisti alimentari o di prima necessità per la sopravvivenza. Neanche gli ospedali vengono risparmiati e la gente continua a morire per mancanza medicinali, attrezzature mediche, chirurgiche non che di semplici siringhe monouso e bende sterili.
Gli ospedali nei quartieri in mano a Free Syrian Army (Esercito di Liberazione) sono stati tutti bombardati, per cui il primo intervento medico viene fatto in ambulatori improvvisati, dove gruppi di quattro o cinque medici si alternano alle emergenze giornaliere, con dei turni massacranti di sei giorni lavorativi senza sosta.

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